Antonio Volpon

  • Il nome Perennial

    Il nome Perennial

    Quando ho deciso di chiamare la mia attività Perennial, ho cercato un nome che rispecchiasse la mia idea di giardino e di giardinaggio: volevo qualcosa che esprimesse continuità, resistenza e curiosità e che fosse anche disponibile come dominio internet. Dopo aver valutato diverse alternative, ho pensato che questa fosse la scelta azzeccata.

    Perennial come erbacee perenni, le mie preferite

    Tutte le tipologie di piante sono importanti in un giardino, sia chiaro, ma sono sempre stato affascinato dalle erbacee perenni. Le metti a dimora una volta e, anno dopo anno, si spengono per poi riapparire quello successivo, un po’ come un amico che non si vede da tempo ma con cui si ritrova subito l’intesa. Sono solitamente piante poco esigenti, capaci di adattarsi e rinnovarsi con il passare delle stagioni. Questa loro caratteristica rappresenta bene il mio approccio al giardinaggio: creare spazi che siano belli, sostenibili e in equilibrio con la natura.

    Perennial come giardini “semprevivi”

    Il mio obiettivo è progettare giardini che abbiano sempre qualcosa da offrire in ogni stagione, con i fiori, con le foglie, con la corteccia, con la struttura, con gli elementi decorativi. Un giardino “perenne” è un giardino in continuo cambiamento, che rimane vivo e interessante tutto l’anno.

    Perennial come attitudine

    Il termine perennial non riguarda solo le piante, ma anche le persone. Viene usato per descrivere chi, indipendentemente dall’età, mantiene una mentalità aperta e curiosa, continua a imparare e ad adattarsi. Mi piace pensare che questo spirito guidi anche il mio lavoro, o almeno che sia da stimolo per essere sempre pronto a sperimentare, scoprire e migliorare.

  • Hai commesso un errore

    Muore Fulco Pratesi, e il pensiero va subito al WWF Italia, l’associazione che fondò negli anni ’60 del secolo scorso.

    E ogni volta che penso al WWF, mi torna in mente un episodio di quando avevo 16 anni e ne ero socio.

    Compravo regolarmente i gadget presentati nella rivista che ricevevo a casa, anche se non erano proprio economici: si parlava di ordini da 100 o 150 mila lire, che a fine anni ’80 erano una bella cifra, soprattutto per uno studente. A un certo punto, con una certa sofferenza, decisi di darmi una calmata.

    Dopo qualche mese, ricevetti una lettera dall’allora direttrice della rivista Panda, Grazia Francescato. Non dimenticherò mai il tono con cui era scritta. Anche se le parole esatte sono sfumate nei ricordi, il messaggio era più o meno questo:

    Gentile sig. Volpon,
    sono certa che si tratti di un errore, perché non posso credere che abbia volontariamente smesso di acquistare i prodotti a marchio WWF dalla nostra rivista Panda. Quei prodotti aiutano a sostenere le tante attività dell’associazione.

    Naturalmente la lettera non era destinata solo a me, si trattava di una classica operazione di win back.

    Ma cosa aveva in testa chi ha pensato fosse una buona idea scrivere un messaggio con un tono del genere?

    Un risultato però lo hanno raggiunto. Per non commettere altri errori – non sia mai – da allora non ho più rinnovato l’iscrizione al WWF.

  • Unire passioni (apparentemente) lontane

    Unire passioni (apparentemente) lontane

    Da sempre, la mia passione per la natura e il giardinaggio convive con quella per le interfacce uomo-macchina, accompagnata da una domanda di fondo: è possibile farle dialogare?

    Il primo seme di questa riflessione è stato piantato quando ero alle elementari. Un giorno, quasi per caso, mi capitò tra le mani Il grande libro dell’autosufficienza di John Seymour (il perché mi capitò tra le mani è un’altra storia). Le illustrazioni minuziose mi affascinavano: descrivevano ogni elemento necessario a rendere una proprietà davvero autosufficiente con una chiarezza sorprendente.

    Tra tutte, mi colpì l’immagine di una casa di campagna su un ettaro di terreno (quella da cinque nella pagina successiva mi sembrava già all’epoca un progetto un po’ troppo ambizioso). Un orto rigoglioso sul davanti, alberi da frutto sul retro, un pollaio, un alveare, persino spazio per una mucca e qualche maiale.

    Nella mia immaginazione, quel modello diventava il mio futuro: mi vedevo lì, a coltivare la terra, con un solo dettaglio in più rispetto al disegno originale — un filo del telefono. Quel piccolo elemento avrebbe rappresentato il ponte tra il mondo agricolo e la mia altra passione: la progettazione di interfacce.

    Sono passati più di quarant’anni e quel sogno non si è realizzato esattamente come lo immaginavo (per fortuna, perché dubito che sarei capace di accudire mucche e maiali). Ma, in un certo senso, mi ci sono avvicinato molto più di quanto avrei mai pensato.

    Oggi lavoro nel digitale con realtà di rilievo internazionale, per di più come freelance, e affianco a questa attività la progettazione e riqualificazione di giardini. Se me lo avessero detto quando ero bambino, probabilmente non ci avrei creduto.

    Eppure, in un certo senso, il filo che immaginavo da piccolo esiste davvero: collega due mondi che sembravano distanti, ma che oggi sono parte di un unico percorso.

  • Chop and drop

    Complice le temperature leggermente sopra la norma di questi giorni, sto sperimentando la tecnica del chop and drop (letteralmente “taglia e lascia cadere”).

    In pratica, invece di rimuovere le parti secche delle erbacee perenni, le si taglia e le si lascia direttamente sulle bordure, creando una vera e propria pacciamatura. Questo metodo offre numerosi vantaggi: arricchisce il suolo con sostanze nutritive, aiuta a trattenere l’umidità e contribuisce a limitare la crescita delle infestanti. E, cosa non da poco, si risparmia tempo.

    Sperimentandola, mi sembra particolarmente adatta alle erbacee perenni con lunghi steli, come Aster, Echinacea, Rudbeckia ed Eryngium, per citarne alcune.

    Ho usato delle semplici forbici tagliasiepi, iniziando dall’alto della parte secca e tagliando a intervalli di 5-10 centimetri. In questo modo, ho sminuzzato il materiale il più possibile per facilitarne la decomposizione.

    Questa tecnica non è forse adatta a tutti: l’aspetto del giardino dopo l’operazione può risultare un po’ disordinato, ma per me è più che altro un pregio.

    Prima e dopo il “chop and drop

  • Scuse da giardiniere

    Scuse da giardiniere

    È una scusa tipica tra i giardinieri dire ai visitatori che avrebbero dovuto vedere il giardino la settimana scorsa. O la prossima. O in estate, in autunno, o in qualsiasi momento tranne che ora.

    A Garden for all Seasons – Reader’s Digest

    Noi giardinieri – come tanti altri, del resto – siamo maestri nel concentrarci sui difetti, più che sull’enorme lavoro che abbiamo fatto per rendere il giardino quello che è.

    L’incipit di questo libro cattura perfettamente questa frustrazione. Il visitatore era felice, il giardino gli piaceva. Non serviva dirgli che in un altro momento sarebbe stato migliore, chissà poi se era vero. Anzi, ora che lo sa, forse gli sembra già meno speciale.

    Ma ormai, la frittata è fatta.